E’ noto che il comparto del vino è tra i più apprezzati quando si parla di Made in Italy. L’Italia e la Francia rappresentano nell’immaginario collettivo, ma anche nella sostanza economica e produttiva le due patrie del vino nel mondo. I dati del 2017 sugli andamenti del comparto sono e ci raccontano la seguente situazione[i]:
L’Italia detiene il primato mondiale con 44 milioni di ettolitri per produzione rispetto alla Francia con 37 milioni e + 35% per le esportazioni sempre a confronto con i cugini di Oltralpe. Se osserviamo, però, i dati sui valori esportati la situazione cambia:
- Francia export in valore € 9 miliardi
- Italia export in valore € 5.9 miliardi
Del resto comparando il costo medio del vino tra Italia (2,86 €/kg) e Francia (5,87 €/kg) si evidenzia come quest’ultimo applichi un prezzo doppio rispetto a quello medio elaborato dagli esportatori italiani. Le ragioni sono diverse e trovano origini antiche, ma ciò non implica l’impossibilità per l’Italia di accrescere la percezione del valore del proprio vino nel mondo.
A tal proposito dedichiamo un focus al mercato USA.
Che il Nord America ami il vino italiano è testimoniato dai fatti. Nel 2018 il Belpaese ha incrementato, rispetto all’anno precedente, l’esportazione di vino del 6,8% in valore (pari a 1,984 miliardi di dollari) e dell’1,2% in quantità. Si tratta della crescita in valore più elevata dell’ultimo quinquennio (Fonte: US Department of Commerce). La quota di mercato, nell’ultimo anno, è passata dal 31,4% al 32%, e l’aumento dei prezzi medi ha raggiunto un incremento sempre nell’ultimo anno di +5,4%.
Il Direttore dell’Ice di New York, Maurizio Forte, sostiene che proprio sul prezzo l’Italia deve e può migliorare i suoi margini di crescita. La Francia vanta un prezzo medio che è circa il doppio rispetto al Belpaese (12 dollari circa contro 6). Da più parti si afferma che l’Italia se vuole ridurre questo gap deve lavorare su percezione e posizionamento; chiediamo un parere a chi conosce il mercato Usa e il settore del vino.
Maurizio Broggi, Italian Wine Scholar™ Education Director, della Wine Scholar Guild (è una scuola internazionale per programmi di educazione al vino. La Guild offre programmi di studio e certificazione sui vini per i territorio vinicoli di Francia, Italia e Spagna).
Sig. Borggi innanzitutto la curiosità è sapere come e quando è cambiata la percezione del vino italiano nel mercato statunitense. Lei è un italiano che vive e lavora da tempo in questo Paese, come è cambiata l’opinione degli operatori statunitensi rispetto al passato?
Il mercato statunitense ha da diversi anni ormai capito che l’Italia non produce solo vini con un buon rapporto qualità- prezzo ma è in grado di proporre vini di eccellente qualità, in grado di esprimere il territorio di provenienza e nella maggior parte dei casi basati su vitigni unici che non sono coltivati in nessun altra parte del mondo.
Secondo lei, prioritariamente, cosa deve fare il comparto vinicolo italiano per affermare il proprio valore sul mercato americano?
Comunicazione ed educazione sono fondamentali per conoscere i vini Italiani negli USA. La maggior parte dei consumatori tende a focalizzarsi sui vini Italiani delle aree vinicole classiche, storicamente più conosciute, perché sono quelle che da decenni presenti sul mercato. L’Italia però ha la fortuna di avere un patrimonio vitivinicolo unico per varietà di terroirs e vitigni. Questa diversità si accompagna ad una certa complessità delle nostre denominazioni che richiedono uno sforzo maggiore per essere promosse e capite. Una complessità che però come detto rappresenta in realtà un vantaggio rispetto agli altri paesi; è necessario però portare avanti un discorso di comunicazione dei valori e di quello che il vino Italiano rappresenta oggi: unicità e qualità.
Sulla base della sua esperienza e della professione che esercita, quanto incide non attribuire ancora la giusta importanza a figure come quella dei Sommelier e/o consulenti enogastronomici nell’affermazione del vino italiano?
La figura del sommelier negli Stati Uniti ha un ruolo fondamentale. I ‘somm’, come li chiamano in USA, rappresentano una realtà molto dinamica dell’industria del vino e della ristorazione americana. Sono sempre molti attivi nella ricerca di novità e sempre pronti a promuovere vini in grado di offrire qualcosa di nuovo al cliente. E’ una figura che negli ultimi anni ha gradualmente innalzato la propria importanza ed il ruolo svolto rispetto alla figura che in generale troviamo in Europa. Negli Stati Uniti non si tratta più solo della figura che propone e guida alla scelta dei vini nei ristoranti, il sommelier è diventato anche quello che crea e favorisce il trend su particolari vini o denominazioni ed è in grado di influenzare una platea più ampia anche grazie ai social media.
Al netto delle responsabilità del settore e della politica nazionale nello sviluppo di azioni efficaci di promozione; quanto incide, però, per le aziende vinicole italiane, notoriamente di piccole e medie dimensioni, che la fornitura sul mercato Usa è detenuta da soli 4 principali distributori che trattano più dell’80% del vino da importazione? (Sappiamo che le piccole dimensioni aziendali non consentono sempre una paritaria capacità di contrattazione)
Purtroppo questo è anche uno dei limiti del sistema Americano e del cosiddetto sistema ‘three-tiers’. Risulta più difficile imporsi alle piccole e medie aziende. E’ qui che diventa importante farsi conoscere da sommeliers, professionisti del trade e wine educators, partecipare a wine trade shows, wine competitions e sfruttare ogni occasione per farsi conoscere. E’ fondamentale visitare il mercato regolarmente, certo è costoso in termini finanziari e di tempo, ma è una strategia che alla lunga paga.
Adesso un focus è d’obbligo sul vino abruzzese e sulle Colline Teramane.
In modo del tutto spassionato se può fornire una sua personale opinione sul vino abruzzese e come viene percepito sul mercato Usa.
Il Montepulciano è ovviamente il vino abruzzese più conosciuto e la percezione in generale è sicuramente cresciuta in positivo. E’ vero che i consumatori conoscono la versione più easy-drinking e fruttata, ma c’è sempre maggiore attenzione e consapevolezza del fatto che il vitigno Montepulciano è in grado di esprimere in Abruzzo vette di qualità e carattere senza dubbio notevoli anche nella gamma alta dei vini di struttura, di corpo e longevità. I vini bianchi inoltre, in particolare il Pecorino, stanno gradualmente crescendo in presenza ed apprezzamento.
Lei è un conoscitore anche del Colline Teramane Montepulciano d’Abruzzo docg, crede che ci siano ulteriori margini di affermazione sul mercato Usa del Montepulciano d’Abruzzo in generale e del brand Colline Teramane nello specifico?
Sicuramente, penso che ci siano ampi margini di miglioramento per far apprezzare il Montepulciano d’Abruzzo nel mercato USA ed in particolare di quello che è il territorio d’elezione del Montepulciano in Abruzzo, le Colline Teramane. Per raggiungere tale obiettivo sarà necessario lavorare sull’aspetto della promozione ed “educazione” per rendere consapevoli sempre più professionisti del vino e consumatori americani di quella che è, non solo la qualità media, ormai molto alta dei vini dell’Abruzzo, ma anche di quelle che sono le caratteristiche di unicità e distinzione che contraddistinguono i vini dell’Abruzzo. Con riferimento alle Colline Teramane in particolare, devo dire che una larga parte dei consumatori USA cerca vini di concentrazione e struttura come i Cabernet Sauvignon della Napa Valley. Il Montepulciano ha le doti di struttura, potenza e concentrazione che certamente rispecchiano questo segmento del mercato.
A giugno ha accompagnato un gruppo di educatori, provenienti da più parti del mondo, sul territorio teramano. Può confermare interesse e curiosità degli ospiti rispetto al settore vinicolo locale?
L’esperienza è stata entusiasmante. Era la prima volta che questo gruppo di educatori visitava l’Abruzzo. Oltre all’apprezzamento per i luoghi, la cucina e il contatto con le persone, devo dire che sono rimasti tutti entusiasti delle visite presso i produttori e dei vini degustati. Hanno affrontato tematiche di viticultura come l’uso della pergola abruzzese, e approfondito tematiche di enologia come l’uso del legno per il Montepulciano. E’ stata inoltre una grande occasione per degustare vini e stili diversi non sempre facilmente reperibili sul mercato USA o altri paesi, come il Cerasuolo d’Abruzzo e la Passerina. E’ stato inoltre molto istruttivo per gli educatori poter degustare il Montepulciano delle Colline Teramane mettendo a confronto annate e stili diversi, cosi come l’evoluzione di questo vino nel tempo.
Fonte:
http://www.exportplanning.com/it/magazine/article/2018/06/28/il-vino-italiano-nel-mondo/
https://www.lavocedinewyork.com/food/2019/03/15/vino-italiano-negli-usa-qualita-imbattibile-prezzi-e-posizionamento-da-migliorare/
[i] Nota: bisogna ricordare che nel 2017 si registra la vendemmia più scarsa dal dopoguerra ad oggi in Europa, a causa di avverse condizioni climatiche